Harvest Time: quel che semini raccogli

È ormai noto che i tempi di raccolta influenzano la composizione chimica finale del fiore di cannabis. Anche se il contenuto dei terpeni e dei cannabinoidi varia durante le fasi di crescita e maturazione, è fondamentale determinare con precisione il momento specifico, ovvero, quella linea di confine che farà la differenza nel prodotto finale.

Ancor prima di mettere il seme a terra, molti coltivatori alle prime armi, ma anche quelli che hanno una certa dimestichezza con la pianta, sognano raccolti mastodontici, cime dure come pietre, profumi che a confronto il rhodinon di Afrodite è acquarella ed estrazioni oleose che Teofrasto annichilirebbe… ma non sempre è così.

Con la cannabis il detto comune: «raccogli quel che semini» è più valido che mai, ma per conto mio, aggiungerei: «raccogli quel che ben segui». 

Il successo di un buon raccolto infatti è sempre prerogativa di un duro lavoro, lavoro che deve essere programmato, costante e minuzioso. 

Prima di raggiungere il fatidico giorno del raccolto, c’è la possibilità che si presentino una serie di difficolta (soprattutto in outdoor) che non sono assolutamente da trascurare.

A tal proposito voglio anticiparvi a grandi linee una serie di problematiche e raccomandazioni che potrebbero presentarsi durante tutto il ciclo di crescita e di maturazione delle piante.

La raccomandazione epigrafica, quella che per me è la più importante, è la scelta del seme. Scegliere un seme stabile e selezionato, una cultivar avente le caratteristiche che più si adattano ai parametri climatici della zona di coltivazione, è il primo piccolo primo passo verso il successo finale. 

Un’altra raccomandazione importante, è quella di pianificare per bene le tecniche di coltivazione che verranno utilizzate durante il ciclo di crescita in tutte le sue fasi; analizzare e testare la composizione del substrato da utilizzarsi (indoor) e il tipo di terreno o area di coltivazione (outdoor) dove cresceranno le nostre piantine è fondamentale per il programma nutrizionale, sia esso organico che minerale.

Scegliere un piano di fertirrigazione adeguato sulle basi di cui sopra è una marcia avanti, così come lo è un programma di “difesa preventiva” volto al contrasto della moltitudine di patogeni che potrebbero manifestarsi durante l’intero percorso.

Fra i più temuti patogeni, che potrebbero compromettere anche l’intero raccolto, troviamo la muffa del colletto (Sclerotinia Sclerotiorum) meglio nota come “marciume bianco”.  

La Sclerotinia sverna nel terreno sotto forma di sclerozi e miceli. Il micelio infetta la base dello stelo (colletto) e le radici, mentre le ascospore possono colonizzare e infettare le parti esterne della pianta come fusto, foglie, steli e fiori. L’infezione da Sclerotinia, si amplifica soprattutto quando si somministra troppa acqua per un periodo prolungato di tempo. Il caldo, l’umidità e la mancata prevenzione antifungina, saranno di complemento al suo triste lavoro. 

Altri problemi che possiamo incontrare durante il ciclo sono quelli causati dagli “Artropodi” quali bruchi, minatori fogliari, ragnetto rosso e giallo, moscerini dei funghi, afidi, mosca bianca e cocciniglie. Questi elencati sono solo alcuni fra gli insetti più pericolosi e compromettenti per i fiori di cannabis. 

Altri patogeni a cui dare importanza sono il Pythium, un’alga parassita erroneamente classificata come fungo, che attacca radici e foglie soprattutto in estate; a cui si aggiungono funghi come il Fusarium, la Septoria, l’Oidio e la Botrite. 

I trattamenti contro questi patogeni sono molteplici. Si passa dai composti rameici anticrittogamici, consentiti in agricoltura biologica, all’olio di lino e di Neem (derivato dalla spremitura del frutto dell’albero omonimo) più efficace in associazione con sapone molle potassico. Il Trichoderma, che viene talvolta usato come base in miscela con ceppi batterici benefici e micorrize, è altrettanto usato e consentito in agricoltura biologica poiché ottimo deterrente contro muffe e artropodi.

Fatta questa premessa sull’argomento patogeni (argomento al quale dedicheremo un articolo specifico più avanti) passiamo alla fase vera e propria del raccolto.

LA RACCOLTA
I coltivatori di cannabis utilizzano principalmente due metodi differenti per l’analisi del frutto: l’analisi chimica e l’osservazione visiva con relativa valutazione organolettica in campo.

Trascurando in questa sede l’analisi chimica che per certi versi è rivolta principalmente al settore industriale e professionale, ci concentriamo sull’esame visivo che è quello che più ci riguarda. Tale esame si basa su quattro valutazioni principali.

La prima valutazione è quella relativa alla percentuale degli stigmi senescenti, conosciuti anche come pistilli, che in corso di maturazione appaiono di una colorazione tra il marrone e il rosso, con tendenza all’arricciamento, mentre evidenziano uno stato di prematurità quando si presentano nella loro totale interezza di colore bianco.  

Gli stigmi senescenti al momento del raccolto devono presentarsi di colore marrone, rosso o simili in una percentuale che va dal 65 al 75% a seconda del cultivo trattato. 

Una seconda valutazione si basa sulla compattezza dell’infiorescenza, per i più esperti. Mentre la terza valutazione si concentra sul colore dei tricomi ghiandolari, se i tricomi si presentano trasparenti il fiore non è ancora maturo. Il tempo ideale di raccolta, secondo questa valutazione, dovrebbe pertanto avvenire quando nel fiore si evidenzia una percentuale media (50%), tra il chiaro/bianco torbido (o color latte) e l’ambrato dei tricomi. Questa particolare transizione dal bianco al color ambra indica una primissima degradazione del THC in CBN che è un metabolita del tetraidrocannabinolo, il quale si sviluppa tramite ossidazione non enzimatica del THC, suggerendo peraltro l’inizio della senescenza. 

Una buona lente d’ingrandimento sarà la vostra migliore alleata per questa valutazione. 

L’ultima valutazione si basa sull’odore che raggiungerà un picco e conferirà un aroma pungente unico, specifico e particolare del ceppo a maturità avvenuta.  

La combinazione di questi quattro metodi determinerà i tempi di raccolta ottimali. 

In taluni casi, le parti superiori della pianta, ovvero le cime, giungono a maturazione prima delle inferiori pertanto è consigliata la raccolta in tempi diversi. 

POST-RACCOLTA ED ESSICAZIONE
Dopo aver eseguito il raccolto il fiore dovrà essere essiccato, curato e conservato.  

Il materiale fresco appena reciso contiene normalmente il 75-80% di umidità e l’essiccazione è necessaria per rimuovere tale umidità dal fiore, per poi predisporlo alla successiva manipolazione e alla relativa conservazione. 

L’essiccazione, deve essere eseguita in appositi locali ben oscurati, con parametri climatici (temperatura – umidità) e aero-ventilazione controllata. 

Questi parametri sono strettamente condizionati dal processo di potatura utilizzato. 

L’umidità ideale (UR) in camera di essicazione varia tra il 50 ed il 60%, mentre la temperatura standard dovrà essere tra i 20°C e 22°C max. 

In linea generale le piante tendono a perdere circa il 7% ± 2% di umidità nell’arco delle 24 ore, se distribuite uniformemente in un ambiente con temperatura controllata tra i 20/22°C.  L’essiccazione a temperature superiori a 37˚C, già in sole 24 ore può decarbossilare lievemente gli acidi cannabinoidi.  

Poiché l’ossidazione avviene con la presenza di luce, calore e ossigeno, la degradazione dei principali cannabinoidi è ridotta al minimo dopo l’essiccazione se i fiori verranno conservati in ambienti freschi e bui. Qualora si decida di conservare un prodotto fresco per utilizzi postumi e diversificati, questo deve essere conservato tra 1˚C e 5˚C, mentre i prodotti, in casi di conservazione a lungo termine, devono essere conservati tra i -18˚C e -20˚C. Secondo uno studio il contenuto di THC su campioni conservati a -18°C, 4°C e 22°C ± 1°C si decompone rispettivamente con tassi del 3,83%, 5,38% e 6,92% all’anno. I campioni possono essere conservati a -18°C o 4°C per circa 30 settimane prima che le concentrazioni di THCA e THC tendano a modificare.

La perdita di peso più significativa si verifica tra il primo ed il terzo giorno dall’inizio del processo di essiccazione, tendendo a stabilizzarne la perdita dopo la prima settimana, arco di tempo nel quale si perderà tra il 25 e il 77% del suo peso originale, osservando sempre la temperatura media di 22°C e un’umidità relativa intorno al 50%. 

Bisogna anche tenere conto che ogni varietà o cultivar di cannabis ha uno specifico tempo di asciugatura.

L’essicazione, in ogni caso, richiederà (con i parametri consigliati) tra i 7-12 giorni a seconda del ceppo, della stazza dello stesso, della grandezza e compattezza dei bud.

Il trattamento post-raccolta, legato in particolare alla temperatura e alla durata dell’essiccazione, in correlazione con la perdita dei terpeni e gli effetti sui cannabinoidi, manca ancora di studi scientifici che ne attestino e ne comprovino le variabili connesse.

CURA E POLIMERIZZAZIONE
Una volta che le piante sono asciutte, inizia il vero e proprio processo che in gergo viene chiamato “concia” o più tecnicamente: “polimerizzazione”.

Indipendentemente dai giorni di asciugatura, un test veloce e semplice per capire quando iniziare a conciare i nostri fiori è quello della rottura dello stelo.

Se lo stelo si spezza con facilità, le nostre cime sono pronte per passare sotto gli strumenti manuali, come le forbici o i trimmer meccanici utilizzati per i grossi quantitativi.

Se lo stelo appare morbido e non si spezza sotto la pressione delle dita, è il segnale che occorre avere pazienza e aspettare ancora un po’.

Una volta ripuliti i fiori dalle foglie e dalle foglioline (queste ultime possono essere utilizzate per farne degli estratti), occorre riporre gli stessi in barattoli di vetro, più o meno grandi a seconda della produzione.

Personalmente preferisco utilizzare del vetro scuro, in quanto limita il passaggio della luce, e nel caso di produzioni in grande scala e bene utilizzare recipienti costituiti da materiali ecosostenibili (la scelta è vasta).

In questa fase, i coltivatori, si dividono in due scuole di pensiero differenti. Alcuni preferiscono conciare dentro contenitori porosi, quali carta, legno ecc., mentre altri in contenitori di alluminio alimentare, vetro, terracotta o simili. Lascio a voi questa preferenza, considerando il fatto che ciò che più è importante sono sempre le temperature, le difese da infiltrazioni luminose e l’umidità relativa.

In questo processo la temperatura standard deve essere intorno ai 20/21°C e l’umidità tra il 55-65%.

I boccioli devono essere monitorati e controllati regolarmente, ad intervalli ben precisi, avendo l’accortezza di aprire i contenitori e movimentarne il contenuto ad intervalli regolari per generare un ricambio di aria sufficiente.

I primi giorni, i vasetti dovranno essere aperti più frequentemente e per tempi più lunghi (anche per più di un’ora a seconda della capienza), per poi andare a ridurre sia la movimentazione che le aperture, mano a mano che la polimerizzazione avanza e progredisce, generalmente dopo i primi dieci giorni.

I tempi di concia sono sempre relativi e sono variabili a seconda del tipo di cultivar, della quantità e della compattezza dei bud.

Una corretta concia può richiedere anche 2 mesi di tempo prima di iniziare a gustare il tanto sacrificato dono.

Buon raccolto e buon uso!

a cura di Groow

Articolo originale su Dolce Vita Online

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